"Che idea morire di Marzo"
Le poesie, le lettere, i ricordi per Fausto e Iaio

Le poesie, le lettere, i bigliettini pubblicati in questo libro sono solo una parte delle centinaia di cose scritte in quei giorni dopo il 18 marzo. Noi non abbiamo fatto una scelta estetica, abbiamo pubblicato praticamente tutti gli scritti che abbiamo trovato in via Mancinelli, più molti altri lasciati al Centro Sociale Leoncavallo, a Radio Popolare, o personalmente a qualcuno di noi, più alcune lettere spedite a Lotta Continua e non pubblicate.
Dopo che abbiamo chiuso la raccolta, hanno continuato ad arrivarci molte poesie, che evidentemente non abbiamo potuto pubblicare. Quindi è stato veramente un fenomeno di massa, quello di scrivere su Fausto e Iaio, per Fausto e Iaio. Era già successo per altri compagni uccisi, specialmente a partite da Francesco Lo Russo e da Giorgiana Masi, cioè a partire dal movimento del 1977. Ma non era mai successo con queste dimensioni e queste caratteristiche, questa ricchezza di sentimenti, impressioni e idee. Tutto questo si è verificato in una metropoli fredda e capitalistica come Milano.
Leggendo tutti questi manoscritti, abbiamo avuto l' impressione che molti abbiano provato per la prima volta a scrivere qualcosa di poetico o di filosofico. Cioè, molti degli autori, se così li vogliamo chiamare, avevano scarsissima abitudine a scrivere, e a scrivere in questo modo. Ci sono scritti di casalinghe, di operai, ci sono le poesie di qualche compagno poeta, ma soprattutto a scrivere sono stati i compagni giovani e giovanissimi: amici stretti o "ragazze" di Fausto e Iaio, compagni del Leoncavallo e della Trattoria, studenti e studentesse del Liceo Artistico frequentato da Fausto, studentesse del "Caterina " che conoscevano Iaio, e molti giovanissimi di vari quartieri della periferia milanese e dell'hinterland.
A essere più precisi, possiamo aggiungere che quasi tutti quelli che hanno scritto sono di estrazione proletaria. L'età media è la stessa di Fausto e Iaio. È ovvio che la maggior parte di chi ha scritto non conosceva personalmente Fausto e Iaio, però a scrivere sono stati soprattutto quelli che si sono identificati nei due compagni uccisi, e nel loro modo di vivere. Hanno scritto su fogli di quaderno, qualcuno su carta da lettera, su pagine strappate di agende e diari, sul retro di volantlni e persino sui bordi di pagine dei giornali.
Ci siamo posti questa domanda: chi ha scritto queste poesie lo ha fatto apposta per farle leggere agli altri? Certo non lo ha fatto per esibizionismo, dato che sono quasi tutte anonime, o firmate in modo da essere riconosciuti solo dagli amici. Molti non erano neppure consapevoli di scrivere per gli altri compagni, lo hanno fatto istintivamente, convinti di parlare a se stessi per chiarirsi o sfogarsi, o addirittura convinti di parlare a Fausto e Iaio, per recuperare o esorcizzare la loro morte. Chi non era consapevole di scrivere per gli altri rimarrà stupito o scocciato a trovare la sua lettera su questo libro. Eppure, indipendentemente dalla consapevolezza, non c'è dubbio che tutti hanno scritto per comunicare, quindi per i vivi, per gli altri. Le poesie infatti sono state lasciate in via Mancinelli e date in giro. Ne è venuta fuori una specie di immensa assemblea sotterranea, in cui nessuno replica direttamente agli altri, ma in cui tutti esprimono le proprie sensazioni perché prenda corpo una sensazione e dimensione collettiva. Infatti i contenuti di questi scritti si intrecciano, si riprendono a vicenda, si alternano e si sviluppano.
Questa raccolta non rivela solo un aspetto importante nella grande rivolta di massa contro la morte che c 'è stata a Milano, dopo l'uccisione di Iaio e Fausto, rivela anche un fenomeno di cui si è già parlato in altre occasioni, e cioè la tendenza nuova e crescente dei compagni giovani a scrivere e a scriversi. Lo scrivere articoli, saggi o volantini rimane una cosa di pochi, o comunque più legata alle necessità del lavoro e della militanza. Qui stiamo parlando dello scrivere lettere, considerazioni, pezzi di diario, poesie. Forse si può dire poesie in generale, cioè pezzi di comunicazione libera, che volutamente si allontanano sia dal linguaggio parlato che dal linguaggio dell'informazione professionale o politica. Sappiamo che è sempre stato tipico degli adolescenti e delle ragazze delle famiglie colte il fatto di scrivere diari e poesie. Da almeno 10 anni, dall'epoca della cosiddetta scuola di massa e della cosiddetta cultura (o sottocultura) di massa, questa voglia di scrivere non riguarda più solo i figli della media o piccola borghesia, ma anche i figli degli operai. È dal 1976, dall'esplosione del movimento femminista, del movimento giovanile, del "personale è politico ", questo scrivere è diventato ancora più importante, è cambiato. Forse non è aumentato il numero di giovani che scrive, sicuramente sono aumentate le occasioni e le iniziative in cui queste poesie spontanee vengono in qualche modo fatte circolare, diventano un fatto di comunicazione. Una compagna di 23 anni ci ha detto: "Avevo scritto una poesia anche per I'uccisione di Roberto Franceschi (gennaio '73) ma certo non mi sarei mai sognata di lasciarla dove è stato ucciso".
Fino a qualche anno fa insomma c'era una divisione più netta tra scrivere pubblico, per gli altri, e scrivere privato, per se. E soprattutto c'era una divisione più netta tra lo scrivere "politico" e lo scrivere "personale ", tra i pezzi di Giulio Stocchi contro Pinochet e i fogli di diario su "mi sento male!". Oggi tra i giovani di sinistra questa divisione sta saltando. In questa raccolta per Fausto e Jaio, come si fa a distinguere i pezzi politici dai pezzi personali? Addirittura si può dire che nella crisi degli strumenti tradizionali della comunicazione politica si può far politica anche scrivendo poesie.
Le poesie scritte nei primi giorni sono più rabbiose, quelle successive sono più lucide, anche se melanconiche o tristi. Il moto che porta a scriverle è sempre sincero, non c'è il senso del dovere, non sono biglietti di condoglianze.
Leggendo tutte queste poesie un "intellettualoide" potrebbe dire innanzitutto che sono ingenue, sprovvedute e prive di tecnica e poi che sono infarcite di frasi fatte, prese dalle canzoni di autore o dai ricordi scolastici. Noi ci siamo accorti per esempio che ci sono molte cose di Lolli, Guccini, Rocchi, forse anche di autori più sputtanati. Poi ci sono molte poesie che ripetono frasi già lette in altre poesie, magari in quelle pubblicate dai quotidiani o trasmesse alla radio. Spesso sono frasi copiate senza ammetterlo, magari senza accorgersene neanche. L'intellettuale tradizionale direbbe a questo punto che tutto ciò dimostra la miseria culturale, la sotto-cultura, il plagio e il condizionamento dei giovani di sinistra. Noi diciamo invece che questa è necessariamente la difficoltà del punto di partenza, ma che in tutte queste poesie si vede anche la faticosa ricerca di una espressione autonoma. In ogni pezzo di questa raccolta, c'è almeno un segno, un 'idea o una frase originale e irripetibile, magari nascosta tra le frasi che sembrano più rituali.
Nelle lettere e nelle poesie ci sono delle ripetizioni che sono invece volute e consapevoli, certi slogans, certi saluti, certi giri di frase, come "non vi conoscevo " oppure "è morta una parte di me ". E innanzitutto c'è la ripetizione del gesto, del lasciare le poesie e le lettere in via Mancinelli, rivolgendole direttamente a Fausto e Jaio come se fossero vivi. Tutti questi sono dei riti, cioè delle ripetizioni collettive di gesti e frasi simboliche. Addirittura sono stati lasciati in via Mancinelli, oltre ai fiori, vari oggetti, regali, persino un cioccolatino. Vengono in mente i riti pagani, quando per esorcizzare la morte, si credeva che i morti fossero ancora vivi ma in altre forme. In realtà sono pochissimi -anche nelle poesie qui raccolte i casi di vero e proprio misticismo, o di credenza negli spiriti. C'è invece una specie di religiosità laica ed è una forma di lotta contro la morte. Cioè si cerca un modo di affrontare la morte degli amici e dei compagni che non sia nè la disperazione nè la fredda lucidità politica ma qualcosa di più. Lo ha capito bene quella ragazza che ha intitolato il suo pezzo "Preghiera di una non cattolica". Scrivendo a Fausto e Iaio si tengono vivi la conoscenza, il ricordo e l'affetto verso di loro, li si fa conoscere.(Estratto dall'introduzione "Che idea morire di Marzo")