È capitato molte volte in questi dieci anni: nei momenti di maggiore stanchezza e sconforto era come se il duplice omicidio di Fausto e laio non fosse mai avvenuto. Raramente a un fatto tanto doloroso ed eclatante è toccata tanta sottovalutazione da parte di magistratura e forze dell'ordine. Raramente su un fatto con caratteristiche come queste si è registrata una chiusura tanto ferrea nei circuiti dell'extralegalità: nulla doveva trapelare.
Il 22 marzo 1978 Milano ha assistito silenziosa e forse stupita ai funerali di due ragazzi sconosciuti: il popolo di Milano, 100.000 persone commosse e forti di rabbia in piazza S. Materno per l'ultimo saluto a Fausto e laio. Messaggi, poesie, centinaia di pensieri per Fausto e laio lasciati, tra i fiori, sul luogo dell'omicidio, in via Mancinelli, recapitati al centro sociale Leoncavallo, in onda a Radio Popolare. Per giorni e notti, mentre i cortei attraversavano la città, le segreterie dei sindacati erano riunite in permanenza per decidere, non senza discussioni e litigi, la partecipazione dei lavoratori ai funerali. Lo stesso all'Anpi. Poi, il 22, tutte le fabbriche di Milano si fermarono e decine di consigli di fabbrica presero parte al corteo funebre: c'era anche il consiglio di Mirafiori, da Torino. C'erano moltissimi studenti. Molte mamme. Molti pensionati. Molti, quel giorno, decisero che avrebbero impegnato parte della loro vita per chiarire chi e soprattutto per quale motivo- avesse massacrato i due giovani compagni. Molti: gli amici di Fausto e Iaio, i compagni e le donne del centro sociale Leoncavallo, Avanguardia Operaia e il Quotidiano dei Lavoratori, Lotta Continua, il Movimento Lavoratori per il Socialismo
e il quotidiano La Sinistra
, militanti anarchici e dell'area di Autonomia Operaia. E ancora, singoli militanti del Pci, professionisti, giornalisti democratici e di Radio Popolare che in tutti questi anni hanno lavorato allo scopo, anche se il gruppo è andato via via assottigliandosi.
Volevamo giustizia, e non solo. Tutti noi credevamo nella possibilità e nella necessità di fare controinchiesta, controinformazione: per , creare altro/sapere, altra/conoscenza. I nostri riferimenti erano il lavoro di controinformazione che aveva portato alla pubblicazione di "La strage di stato" e lo straordinario lavoro in campo scientifico iniziato con Giulio Maccaccaro e portato avanti da Luigi Mara della Montedison. Non si può certo paragonare questo lavoro sul duplice omicidio di via Mancinelli ai riferimenti che abbiamo appena citato. Ma è il solo modo per testimoniare il rapporto di continuità e contiguità che lega, ieri come oggi, coloro che pensano, lottano, lavorano per una società che non veda più l'uomo contro l'uomo.
Milano e l'eroina
Il clima di quelle settimane a Milano è piuttosto caldo: nella zona Lambrate-Casoretto, in particolare, si registra un'escalation di avvenimenti. Da parecchi mesi ormai tutte le componenti della nuova sinistra sono scese in campo con varie iniziative contro lo spaccio dell'eroina: dalle denunce generali a quelle più specifiche e particolareggiate sui luoghi di spaccio. In tutta la città, e nell'hinterland, parecchi spacciatori vengono duramente picchiati e non sono pochi i bar che bruciano, in quanto ritrovo di trafficanti. Nell'area di Autonomia Operaia
e in alcuni centri sociali nasce l'idea di un grande dossier, un libro bianco, che presenti una vera e propria mappa di luoghi e nominativi legati allo spaccio a Milano.
In tutti i quartieri decine di giovani lavorano a raccogliere dati e informazioni; i luoghi di spaccio vengono osservati con attenzione da centinaia di occhi interessati. Nella zona Lambrate il centro sociale Leoncavallo
è molto attivo nel progetto: un nucleo opportunamente ristretto di giovani vi lavora, ma molti altri come Iaio e Fausto si danno da fare. Fausto Tinelli, in particolare, sarà poi ricordato da negozianti e farmacisti come particolarmente attivo e in vista nel far domande e seguire piste. I due giovani lavoreranno in modo continuativo, registrando man mano su nastro i risultati cui pervenivano. Qualche tempo prima dell'omicidio, Iaio avrà una vivace discussione, condita da minacce di fronte al Caramellose
, locale di via Carnia, nei pressi di piazza Udine. La lite avviene con un uomo di circa 30 anni, slavo, conosciuto come spacciatore, di nome Franjo- il numero telefonico di quest'ultimo verrà trovato, insieme ad altri, su un tovagliolino di carta in tasca al giovane riverso in via Mancinelli.
18 marzo 1978, l'omicidio
Dopo un pomeriggio con gli amici, verso le 19.30, Fausto e Iaio si incontrano alla Crota Piemunteisa
di via Leoncavallo, uno dei luoghi di ritrovo abituale dei giovani del quartiere Casoretto, e del vicino centro sociale Leoncavallo. Nella sala biliardo del locale, diranno in seguito vari testimoni, ci sono tre giovani che nessuno aveva mai visto. Fausto e Iaio si ritrovano li, come abitualmente facevano, per andare a cenare a casa Tinelli: Danila, la mamma di Fausto, ha preparato il risotto. Alle 21 sarebbero tornati al Leo
per assistere al concerto in programma.
Fra le 19.30 e le 19.45 si incamminano: non fanno il percorso abituale- via Leoncavallo, via Mancinelli e quindi Casoretto, ma si incamminano lungo via Lambrate in direzione di piazza S. Materno, per poi risalire lungo via Casoretto. In via Lambrate c'è un residence dove risiedono personaggi particolari, fra cui Gianni Mazzeo di origine trentina, come Fausto.
Fausto e Iaio giungono all'edicola situata qualche metro prima dell'angolo tra via Casoretto e via Mancinelli: l'edicolante li sente commentare i titoli dei giornali sul sequestro Moro. Sono le 19.55 circa, e qualcosa in via Mancinelli attira la loro attenzione ...
Poco più avanti, davanti alla Anderson School
, ci sono tre persone. Nonostante Danila li stesse aspettando, i due ragazzi raggiungono il gruppo - testimoni parlano di uno scambio di battute. Quindi si ipotizza che Fausto e Iaio siano stati chiamati da qualcuno di conosciuto.
Marisa Biffi, che vede la scena, parla di una discussione animata e nota alcuni particolari, fra cui dei sacchetti di plastica in mano a qualche membro del gruppo: due indossano impermeabili chiari, il terzo un giubbotto marrone. All'improvviso sente dei colpi, come di petardi. Due figure si accasciano al suolo, mentre gli altri tre si allontana lungo via Mancinelli. A terra rimangono Iaio, ucciso sul colpo, e Fausto, che morirà durante il trasporto verso l'ospedale.
La signora Biffi non è stata l'unica a notare la situazione. Tiziano, un ragazzo che abitava in via Casoretto n.8, esce proprio in quei minuti da casa. Riconosce Fausto e laio che imboccano via Mancinelli e racconta che, pochi secondi dopo, vede due persone correre come se si stessero allontanando dall'ingresso di via Mancinelli. I due corrono piuttosto velocemente: il primo, giubbotto scuro, capelli castani e ricci, riesce a prendere al volo l'autobus 55
. L'altro si allontana verso via Accademia.
Il gruppo che ha fatto fuoco, uccidendo Fausto e Iaio, intraprende una via di fuga diversa. Anziché uscire subito da via Mancinelli e prendere via Casoretto, pecorre completamente via Mancinelli in direzione dell'incrocio con via Leoncavallo dove c'è il deposito ATM e, una trentina di metri prima, l'ingresso ad un garage pubblico che da sul retro del centro sociale Leoncavallo. Diverse persone dicono di aver notato la presenza di questi ragazzi: ventenni, impermeabili chiari e giubbotto scuro. Discordanti sono le versioni sulla direzione che gli assassini prendono. Dal deposito ATM la voce prevalente parla di un tipo col giubbotto scuro che si immette velocemente nella piccola via Chavez, mentre gli altri due sarebbero entrati in una lavanderia situata a ridosso dell'incrocio stesso -guarda la cartina.
La lavanderia di via Mancinelli
La lavanderia di via Mancinelli fa parte dello stabile di via Leoncavallo 30. Ha una porta sul retro che consente il passaggio nel cortile interno dell'edificio. La lavanderia era di proprietà di una donna bionda, di circa 30 anni, tre figli, considerata molto legata alla malavita. Da ricerche svolte risulta essere tale Ingeborg Drexler, austriaca, nata a Klangenfurt il 29.06.42, coniugata con Lorenzo Brazzi, e domiciliata dal 1971 in via Leoncavallo 33, secondo piano, in un appartamento di tre locali e servizi affittato con contratto del 9.10.71, registrato il 5.11.71 al numero A/1 152321 documento 1, in cui si stabiliva" un canone annuo di 654.000 lire più spese. La Drexler si sarebbe separata dal marito durante i primi anni di permanenza, e sarebbe rimasta ad abitarvi con i figli aprendo la lavanderia-stireria (si dice abbia aperto l'esercizio con i soldi di un non ben precisato cognato).
La casa della Drexler era divenuta notoriamente un luogo di ritrovo per personaggi un po' particolari. Ad esempio, risulta abitassero presso di lei Javier Solis, nato a Barcellona il 06.04.60, ufficialmente residente a Madrid, detenuto nelle carceri di Mantova nei primi mesi del 1980 insieme ad un altro domiciliato presso la Drexler, Carlos Rodriguez Munoz, nato a Bogotà 12.09.54. Risulta che costoro siano stati condannati in appello dal tribunale di Brescia nel marzo 80 per furto e altri reati. Questi due personaggi rappresentano solo degli esempi, perché risulta che, soprattutto durante le ore notturne, la casa della Drexler fosse frequentata da molti sudamericani. Nei primi mesi dell' 80 la Drexler sparì, lasciando i figli, che vennero recuperati dal padre Lorenzo Brazzi. Appena partita, ricevette uno sfratto per morosità (per la somma accumulata di 3.184.000 lire), che giunse troppo tardi poiché la donna era già sparita.
Il terzo killer e la fuga in moto
Come si diceva, uno degli assassini sarebbe fuggito lungo via Chavez, scomparendo in viale Padova. C'è da registrare un fatto decisamente strano: pochi minuti dopo le 20 una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo sfreccia in piazza Durante proveniente da viale Padova. La moto incrocia le diverse volanti e gazzelle che stanno convergendo a sirene spiegate verso via Mancinelli. Alcune persone, in particolare Angelo Palombra, del '39, abitante all'epoca in via Garofalo 46, notano che dalla moto viene lanciato un oggetto. Si tratta di una pistola Beretta calibro 9 con il numero di matricola limato, il colpo in canna e sei proiettili nel caricatore. L'arma è stata gettata dagli occupanti della moto, probabilmente preoccupati alla vista delle auto di polizia e carabinieri. Come poi risulterà, non si trattava della pistola che aveva sparato in via Mancinelli. Intanto la moto si dilegua a forte velocità e sembra sparita nel nulla. Sennonché, intorno alle 20.10, una ragazza, che si trova in piazza Aspromonte, ang. via Garofalo,assiste a una scena piuttosto strana: vede arrivare una moto con a bordo due giovani. Arrivati quasi all'altezza di un bar pizzeria, quello che siede dietro scende velocemente dalla moto e armeggia sulla targa, togliendo una specie di mascherina che ne celava i numeri. Dopo aver scambiato poche battute con il conducente, entra nel bar pizzeria mentre la moto si allontana. La persona che compie l'operazione ed entra nel locale alta un metro e 70, capelli scuri mossi, ha circa 25 anni, indossa un giubbotto marrone chiaro. Certo, nessuno può giurare che questa moto sia la stessa di piazza Durante o che a bordo ci fosse lo stesso giovane fuggito da via Mancinelli in via Chavez. Ne però si può non considerare una serie di fatti oggettivi: il giovane che scende dalla moto in piazza Aspromonte corrisponde alle caratteristiche di quello di via Chavez. In piazza Durante sfreccia una moto con a bordo due che si comportano in modo molto strano (pistola gettata) e due sono quelli visti in piazza Aspromonte e che, a loro volta, si comportano in modo strano (cambio targa). Coincidono perfettamente anche gli orari: fra la fuga in via Chavez e la scena in piazza Aspromonte passa una manciata di minuti. I due luoghi distano qualche centinaio di metri, una distanza percorribile in moto in un batter d'occhio. All'epoca, 78, i bar di piazza Aspromonte sono già un punto fermo per lo spaccio di droga nella zona. In particolare, la piazza è controllata dagli slavi. In piazza Durante, oltre al teste Palomba che ritrova la calibro 9, ci sono altre persone: c'è lo spacciatore Oss Pinter (quello sprangato al Parco Lambro, di cui parleremo diffusamente tra poco) che è insieme all'amico Gianni Mazzeo. Fra gli altri vengono identificati due giovani, Claudio La Guardia e Mario Zara, che sono domiciliati nel residence dl via Lambrate 9, dove sta anche Mazzeo.
Alcuni dettagli sull'omicidio
Torniamo alla testimonianza di Marisa Biffi. La teste dirà con sicurezza ciò che ha visto. Probabilmente comincia a seguire la scena quando Fausto è già stato colpito ed è a terra. Infatti al primo colpo d'occhio vede un giovane piegato su sé stesso che si comprime lo stomaco con entrambe le mani. Contemporaneamente sente tre colpi attutiti senza vedere nessuna fiammata. Fra Iaio, obiettivo dei tre colpi, e la Biffi ci sono i tre assassini, giù dal marciapiede: dopo i colpi la donna vede i tre allontanarsi lungo via Mancinelli. Si precipita e vede i due corpi. La donna ricorderà inoltre di aver visto solo uno dei tre assassini in posizione da sparo: in piedi, davanti a Fausto e Iaio, con entrambe le mani in un sacchetto di plastica puntato nella direzione delle vittime. Visti i corpi la Biffi si rende conto della situazione e corre nella vicina parrocchia a chiedere aiuto. Chi ha sparato l'ha fatto per uccidere. E l'ha fatto con una certa professionalità. Non solo per l'uso del sacchetto -che evita che i bossoli cadano a terra-, una pratica particolarmente in uso negli ambienti di destra, a Roma soprattutto. Tutti gli otto colpi calibro 7.65 esplosi hanno raggiunto l'obiettivo. Tutti hanno colpito parti importanti del corpo: Fausto è stato colpito al petto, all'addome, al rene sinistro, al braccio destro, e un colpo gli ha trapassato i vestiti senza ferirlo. Iaio è stato raggiunto da tre colpi: uno all'addome, uno che, penetrando dal mento, ha trapassato la carotide, un terzo alla coscia destra. Otto colpi per uccidere, sparati con determinazione e freddezza contro due soggetti in movimento: nonostante almeno uno dei due ragazzi abbia cercato di allontanarsi dopo che l'altro era stato colpito, nessun colpo è andato sprecato. Lo scenario delinea l'ipotesi dell'agguato in piena regola: ma anche le capacità di fuoco dello sparatore fanno ipotizzare che si trattasse di qualcuno che aveva già avuto armi e si era già trovato in situazioni simili .Ora un passo indietro, al 10 marzo, a cui segue una "radiografia" della zona: luoghi e personaggi.
10 marzo 1978
Un folto gruppo di giovani, alcuni con il volto coperto da fazzoletti rossi aggredisce al Parco Lambro Gianluca Oss Pinter, 25 anni, e Michele Damato, 19 anni. L'obiettivo, certamente Oss Pinter, accusato di essere uno spacciatore di eroina, che tra l'altro riporterà dall'aggressione ferite lacero-contuse al capo ricucite con quaranta punti di sutura. Damato ne uscirà con ferite più lievi. Al momento dell’aggressione insieme a Oss Pinter si trovava al Parco Lambro anche Monica Maghini, 20 anni, abitante in via Passo Mendola, e Marina Folchini, 18 anni, abitante in via Jommelli 25. Monica Maghini frequenta saltuariamente il centro sociale Leoncavallo ed è la ragazza di quel Gianni Mazzeo che la sera dell'omicidio circola per piazza Durante proprio insieme a Oss Pinter. I due sono molto amici: pare che abbiano insieme subito un processo per detenzione di armi e giubbotti antiproiettile. Damato, dal canto suo, abita in via Leoncavallo 15, a pochi passi dal centro sociale, e dirà di conoscere Iaio, suo ex compagno di scuola. Qualche amico di Fausto e Iaio dirà poi che i due giovani erano presenti al Parco Lambro, altri diranno che solo Iaio vi arrivò in motorino quando l'aggressione si era già compiuta. Oss Pinter e Damato saranno trasportati in ospedale da un'autoambulanza. Ufficialmente Oss Pinter dirà di non conoscere i suoi aggressori né di aver alcunché a che fare con lo spaccio di droga, di cui sarebbe invece un semplice consumatore. Sempre nelle dichiarazioni ufficiali, Oss Pinter ipotizzerà che l’aggressione possa essere stata effettuata da studenti del VII Itis e del Molinari, istituti adiacenti al parco Lambro, con cui comunque non avrebbe mai avuto nulla a che fare. Compare a questo punto una delle prime imperfezioni della vicenda: ricostruendo i fatti e parlando con possibili testimoni si apprende infatti che Oss Pinter, caricato sull'ambulanza, rilascia ben altre dichiarazioni. Quasi a consolare il giovane e impaurito Damato, Oss Pinter dice di aver riconosciuto con certezza due o tre degli aggressori. Qualche giorno dopo l'aggressione, col capo ferito protetto da un berrettino di lana, Oss Pinter si reca al bar Pirata di via Pordenone. Ad Amici e conoscenti racconterà di essersi recato nel locale solo in quell’occasione, di non conoscere i giovani che abitualmente lo frequentano, di esserci andato per cercare un amico di famiglia. Il caso vuole però che qualche avventore del bar Pirata ricordi i fatti in temini un po' diversi. Oss Pinter aveva pubblicamente raccontato dell'aggressione, togliendo perfino il berretto per mostrare le ferite. Fra gli altri è presente nel bar Giuseppe Bortoluzzi. Va segnalata un'altra contraddizione: Oss Pinter sarà sempre molto attento, facendo circolare varie voci, a sottolineare di non conoscere affatto Giuseppe e Mario Bortoluzzi. Viceversa, proprio Bortoluzzi, ricordando la visita di Oss Pinter al bar, non ne parlerà come di uno sconosciuto, e dirà anzi di conoscerlo perché portavano i loro cani a correre insieme al parco Lambro. Secondo altre testimonianze, più difficilmente verificabili, il 17 marzo Oss Pinter avrebbe raccontato dell'aggressione anche in un altro locale, in piazza Aspromonte: in quella occasione sarebbe stato fatto il nome di Fausto Tinelli.
Tra i personaggi che compaiono nella vicenda, Gianluca Oss Pinter è uno di quelli che si muove in maniera più interessante. Oltre a quanto già detto, va analizzato nel dettaglio il modo in cui Oss Pinter trascorre la serata del 18 marzo e i giorni seguenti. Intorno alle 21 del 18 Oss Pinter si trova in piazza Durante in compagnia di Gianni Mazzeo e Monica Maghini. Mazzeo è domiciliato a Milano, al residence di via Lambrate 9 -la via che congiunge via Lambrate con via Casoretto. Nello stesso residence vivono gli altri identificati dalla polizia in piazza Durante: Mario La Guardia e Claudio Zara. Quella sera Oss Pinter ha a disposizione un'auto targata Pavia, appartenente a Ferruccio Martinelli di S.Donato Milanese, noto sanbabilino. Appresa la notizia del duplice omicidio Oss Pinter si reca prima in via Mancinelli, poi decide di nascondersi per paura di ritorsioni (perché?). In quei giorni Oss Pinter è domiciliato presso Anna Dinarello, 22 anni, in via Jommelli 44. Oss Pinter decide allora di nascondersi a casa di Anna Maria Raco, all'epoca 26 anni, in via Scipione Pistrucci 3. Nell'82 Oss Pinter avrà un figlio, Gianmaria, proprio dalla Raco. Attualmente Oss Pinter tratta cocaina.
Bar Pirata di via Pordenone
Rappresenta uno dei luoghi chiave di tutta la vicenda. Si tratta di un ritrovo piuttosto conosciuto nella zona non solo per la qualità dei cocktails che propone. Si chiacchiera molto sul Pirata (ci si riferisce al '78) che viene indicato come uno del terminali di zona dello spaccio di droga o, comunque, come il ritrovo di parecchie persone che hanno a che fare con questi traffici. La sua posizione vicina al Parco Lambro ma non nella "prima linea" rappresentata dai bar di piazza Udine, il suo essere sito in una sorta di rientranza della via e semi coperto da un discreto pergolato ne fanno, per l'appunto, un luogo tranquillo e insospettabile. Che dietro questa immagine pulita, contrastata però dal tam-tam del quartiere, ci fosse ben altro lo conferma anche la scelta del magistrato che per primo si occupò del duplice omicidio, il Dottor Armando Spataro, che, fra le altre, ordinò 15 giorni di intercettazioni telefoniche sull'utenza di Natalina Mazzocchi titolare dell'esercizio e coadiuvata nella gestione dal convivente Giuseppe Paganelli. E proprio al bar Pirata che la polizia, dopo l'omicidio di Fausto e Iaio, sequestra un impermeabile chiaro che la Signora Mazzocchi dirà essere stato lasciato lì da qualcuno il 20 di marzo. Al Pirata si chiacchiera molto. Senza badare più di tanto a chi è presente nel locale vengono fatti discorsi a voce alta: né ci si preoccupa di mantenere discreto il tono mentre si telefona. Fra i frequentatori abituali del locale ci sono i fratelli Giuseppe e Mario Bortoluzzi, abitanti in zona in via Tolmezzo, di cui tratteremo diffusamente più avanti. Si tratta di personaggi determinanti nella vicenda. Pochi giorni dopo il duplice omicidio Mario Bortoluzzi, mentre si trova in moto con l'amico Antonio Mingolla, è coinvolto in un incidente stradale. Mingolla e armato e da ciò scattano delle perquisizioni a casa dei due. Nell'abitazione di Bortoluzzi vengono trovate altre armi. Per ora basta dire che fa una certa impressione apprendere che Mario Bortoluzzi, mentre si trova in stato di fermo dopo che gli sono state trovate le armi, telefoni proprio al Pirata dicendo di aver bisogno di un avvocato. Bortoluzzi parla prima con la signora Mazzocchi che si lamenta con lui (chissà perché?) perché un impermeabile di un certo Gigi Cris era stato lasciato nel locale e, soprattutto, ha da dire sulla sostanza di un certo lavoro che sarebbe avvenuto. Bortoluzzi telefonando intendeva parlare con un certo Roberto Proto che però, gli viene detto, è da tre giorni a casa malato. In poche parole Proto non è in circolazione nei giorni a cavallo dei funerali di Fausto e Iaio che sono gli stessi giorni in cui decine di cortei piuttosto tesi attraversano la città e, in particolare, la zona Lambrate-Casoretto.
Visualizziamo meglio la figura di Roberto Proto. Si tratta del giovane che, non molti giorni dopo il duplice omicidio, annuncia tranquillamente e pubblicamente che la sera andrà con amici a compiere un raid punitivo. Tornando alla telefonata: a Mario Bortoluzzi viene poi passato un certo Nunzio Gallo. A lui Bortoluzzi chiede di mettersi in contatto con Gigi Cris per avere a disposizione l'avvocato di questi e, soprattutto, dice che é suo, non di Gigi Cris, l'impermeabile che si trovava nel bar e che la polizia ha già sequestrato. Un'altra contraddizione da sottolineare sulla vicenda dell’impermeabile riguarda la data dell'abbandono dell'indumento nel bar. Secondo la signora Mazzocchi l'impermeabile sarebbe stato lasciato sicuramente il 20 marzo. Mario Bortoluzzi, con altrettanta certezza, dice di averlo lasciato lui stesso il 17 marzo. Giunti a questo punto sembra utile soffermarsi un po' sulla figura di Gigi Cris, che può essere individuato in Luigi Brusaferri.
Luigi Brusaferri e Alfonso Pasquale
Nel 1978 Brusaferri era sicuramente uno dei neofascisti più noti e attivi nella zona. A lui si addebitano svariate azioni di propaganda elettorale e non per il Movimento Sociale, fino alla diffusione pubblica del Secolo d'Italia. Nell'aprile '76 venne parzialmente coinvolto nelle indagini sull'omicidio di Gaetano Amoroso; venne fermato perché trovato in possesso di un coltello. Con lui, in quella occasione, verrà fermato anche l'amico Alfonso Pasquale suo abituale camerata in varie scorribande. Entrambi, dopo il duplice omicidio di via Mancinelli, subiranno una perquisizione domiciliare. In casa di Brusaferri verrà sequestrato un giubbotto color nocciola. Brusaferri si affretterà a dire che la sera dell’omicidio lui circolava con un giubbotto di panno blu dell'amico Pasquale a cui lui, in cambio, aveva prestato quello nocciola che poi la polizia sequestrerà. Brusaferri e Pasquale, ovviamente, conoscono i fratelli Bortoluzzi e sono intimi anche dei fratelli Barisio, altri noti neofascisti della zona. Fra le altre cose, Mario Bortoluzzi e Marco Barisio saranno notati in via Mancinelli, mischiati fra la folla, poco dopo l'omicidio.
I fratelli Bortoluzzi
All'epoca di fatti Giuseppe ha 21 anni, Mario quasi 18. Sono molto conosciuti in tutta la zona, sono giovani malavitosi ma decisamente colorati politicamente. Come abbiamo già ricordato, pochi giorni dopo l'omicidio Mario è a bordo di una potente moto lungo la strada per Inzago, guidata dall'amico Antonio Mingolla, abitante in via Pordenone, vicino al bar Pirata. I due hanno un incidente, cadono a terra, perdono conoscenza. Ingolla è armato di un revolver 44 magnum. Scattano le perquisizioni. A casa dei Bortoluzzi viene trovata una pistola calibro 7.65, deformata a martellate (segue analisi critica perizie balistiche), una 6.35, vari pezzi di altre armi, cartucce e diversi oggetti e simboli neonazisti. Giuseppe Bortoluzzi dirà che la sera del duplice omicidio era con il fratello nella pizzeria sotto casa; poi se ne sarebbero andati in giro in moto con amici. Confermerà di conoscere Oss Pinter (questi dice invece il contrario); affermerà di essere stato compagno di scuola, al Settembrini, di Iaio. Dirà che la sera dell'omicidio Mingolla aveva la moto in riparazione in un garage. Mingolla non confermerà questa notizia. Dal canto suo Mario Bortoluzzi si rifiuterà di rispondere al magistrato. Mentre Giuseppe dice di essere stato con il fratello ed amici in giro in moto la sera del 18, va ricordato che Mario venne visto in via Mancinelli, fra la folla, in compagnia di un altro neofascista. Trasferito al carcere minorile Beccaria, Mario Bortoluzzi confiderà di sapere molte cose sulla morte di Fausto e Iaio. A casa dei Bortoluzzi, oltre alle armi, verranno sequestrati tre giubbotti color nocciola e un impermeabile chiaro. Il 20 febbraio 1980 i fratelli Bortoluzzi vengono arrestati per rapina ai danni di una gioielleria di via Gleno.
Analisi critica della perizia balistica
La perizia balistica, come è noto, è un elemento fondamentale per le indagini che seguono ad un delitto commesso con armi da fuoco: questo tipo di ricerca è effettivamente di grande aiuto, se il perito compie gli accertamenti di sua competenza con scrupolo e completezza, senza tralasciare nessun particolare, anche il più apparentemente insignificante, che possa in qualche modo costituire un indizio utile per il magistrato. Esaminando con occhio critico la perizia svolta subito dopo il delitto di via Mancinelli dall'ingegner Teonesto Cerri, si rileva, in conclusione, che il duplice omicidio venne effettuato mediante una sola arma da fuoco calibro 7.65 ma, utilizzando proiettili mantellati di fabbricazione Winchester. La canna della pistola ha una rigatura composta da sei righe destrorse. Oggettivamente queste conclusioni non rappresentano molto e, come vedremo, si sarebbe potuto fare di più. Una delle carenze di maggior rilievo è quella relativa alle ipotesi fattibili circa il tipo ed entro certi limiti, alla marca dell'arma in questione. Dall'esame dei segni lasciati dalla rigatura della canna sui proiettili sparati, non si deduce solamente, come è stato fatto, la cosiddetta identità specifica (quella che indica con certezza che due o più proiettili, confrontati tra loro, siano o non siano stati sparati con la medesima arma), ma anche si rilevano le caratteristiche di classe dell'arma che li ha sparati. E' appunto attraverso queste che si può giungere a formulare un'ipotesi sul tipo e sulla marca dell'arma che ha esploso i colpi in reperto. Le caratteristiche di classe si ottengono dall'esame del segni macroscopici lasciati dalla rigatura (numero, andamento e passo delle righe; larghezza e profondità delle stesse; diametro tra i pieni e i cavi, ove misurabile) e variano in maniera a volte consistente tra marca e marca. Ad esempio, la larghezza delle righe di produzione Beretta è molto diversa da quella di una canna di pari calibro di produzione Walther, e così via. Certamente, in alcuni casi, le caratteristiche coincidono. In ogni caso un esame in questo senso restringe di molto il campo delle armi da cercare. Apparentemente meno rilevante, come carenza, è l'omessa descrizione di parte dei reperti consegnati al perito per i necessari esami: manca la descrizione del revolver Smith&Wesson cal. 44 magnum con 5 cartucce trovato addosso ad Antonio Mingolla, di due bossoli e di un certo numero di cartucce di vario calibro e tipo, tra cui 19 cal. 7.65 trovate a casa dei Bortoluzzi. Chissà se tra queste vi sono cartucce di tipo Winchester. Certo, non è una prova, vista l'enorme diffusione di cartucce di questa marca, però potrebbe essere anche una curiosa coincidenza. Non vengono descritti nemmeno due caricatori per cartucce cal. 7.65 che comunque sarebbe invece interessante capire di quale fabbricazione siano e per quale arma. Le descrizioni delle armi in reperto lasciano a loro volta alcune domande senza risposta. Sia sulla Beretta cal. 7.65 che su quella 6.35 mancano le indicazioni sul modello, visto che la Beretta ha prodotto armi in quei calibri in molti modelli successivi, a partire dal 1915. In particolare risulta molto sommarlo l'esame dell'unica pistola in reperto che avrebbe potuto sparare quella sera in via Mancinelli: la Beretta cal. 7.65 mm, matricola AO4667W, trovata sempre dal Bortoluzzi. Dalla perizia si rileva dapprima che è fortemente deformata e priva di guancine e poi si conferma che è fortemente deformata per martellamento e non è stato possibile effettuare lo smontaggio né precisare l'epoca dell'ultimo sparo (cosa quest'ultima pressoché impossibile anche in condizioni normali). A giudicare dal numero di matricola, dovrebbe trattarsi di una Beretta mod. 70, di produzione poco successiva al 1968, anno in cui la Beretta passò dal sistema di matricolazione a una lettera e 5 o 6 cifre a quello attuale con 5 numeri preceduti e seguiti da una lettera (l'ultima lettera è indicativa del calibro dell'arma: W sta per 7.65 mm Browning, X per 7.65 mm parabellum, Z per 9 mm parabellum, etc. ). E' una pistola che è stata costruita in migliaia di esemplari, con fama di ottima affidabilità e una capacità di caricatore di 8 cartucce. Purtroppo di questa pistola in reperto manca una documentazione fotografica che consenta di apprezzare l'entità delle deformazioni che ha subito. Sarebbe interessante se le deformazioni non avessero ammaccato in maniera gravissima la canna, poiché, visti i reperti a disposizione (solo proiettili e niente bossoli), l'unica parte utile all'identificazione sarebbe proprio la canna. Se il martellamento avesse solo piegato il fusto e deformato il carrello in modo da renderne impossibile lo smontaggio ordinario, si potrebbe, anche a costo di distruggere quanto non strettamente necessario, estrarre la canna al fine di comparare proiettili esplosi da questa con quelli repertati in via Mancinelli. E' un'ipotesi affascinante, anche perché non ha senso cercare di distruggere la possibilità di esaminare un'arma a meno che non vi sia un motivo preciso per farlo. Per quanto riguarda le perizie, oltre all'analisi critica (fortemente critica) su quella balistica, c'è qualcosa da dire anche su quelle che si sarebbero dovute fare sugli indumenti sequestrati. Per quanto a nostra conoscenza, non risulta che questo tipo di perizie siano state effettuate. Come si ricorderà sono molti gli indumenti sequestrati dalla polizia: almeno un paio di impermeabili bianchi e almeno tre giubbotti marrone. Al di là del guanto del paraffina che deve essere realizzato nell'immediatezza del fatto sul soggetti sospettati, già nel 78 era possibile realizzare, per esempio a Pavia, la ricerca di tracce di pulviscolo di antimonio proveniente dagli inneschi delle cartucce che, al momento dello sparo, si diffonde nell'aria depositandosi sulla mano e sul braccio della persona che spara. Sono state fatte queste perizie? Se no, perché? Inoltre, qualche giorno dopo l'omicidio, al dottor Spataro i ragazzi del centro sociale Leoncavallo consegnano un berrettino di lana che presenta vistose macchie di sangue. All'interno, qualche capello biondo o castano chiaro. Il berretto è stato trovato in via Mancinelli sotto i mazzi dei fiori posti proprio nel punto in cui sono caduti Fausto e Iaio a partire dalla sera del 18 marzo. Di chi è quel berretto? Quando è stato lasciato o è caduto? Sono state analizzate le macchie di sangue? E oggi, 1988, i capelli?
I nastri trafugati
Mentre i familiari di Fausto si trovano a Trento dove hanno seppellito il giovane, si verifica un fatto decisamente inquietante. La vicina di pianerottolo un tardo pomeriggio sente dei rumori. Sa che nell'appartamento dei Tinelli non c'e nessuno e, incuriosita ,si mette a sbirciare dallo spioncino. Nota sul pianerottolo degli uomini che aprono la porta ed entrano nell'appartamento. In un primo tempo racconterà che erano persone in divisa; in seguito si sentirà solo di confermare che erano muniti di torce. Sta di fatto che quando Danila Tinelli rientra a Milano scopre che sono scomparsi da casa proprio i nastri su cui abitualmente Fausto e Iaio registravano i risultati delle loro indagini- non manca nient'altro. La porta d'ingresso non risulterà essere stata forzata. All'epoca a Danila Tinelli non erano ancora stati restituiti gli effetti personali di Fausto, fra cui le chiavi di casa.
Visita a casa Iannucci
Il pomeriggio del 16 marzo, a poche ore dall'omicidio, un uomo di colore che parla solo inglese e che sembra molto spaventato suona alla porta di casa Iannucci. Alla madre di Iaio l'uomo indica l'orologio che ha al polso, dicendo: "eight o'clock". Dopo di che si allontano velocemente. E' superfluo ricordare che l'omicidio e avvenuto pochi minuti prima delle 20.
Avvocato/Pusher
Un avvocato dl Milano ha riferito in passato alcune notizie piuttosto interessanti ai carabinieri. Secondo questo avvocato il mandante del duplice omicidio sarebbe un grosso trafficante di fumo, all'epoca sulla cinquantina (non viene fatta in questa sede ne il nome dell'avvocato, ne quello del presunto mandante essendo stato impossibile verificare fino in fondo la notizia. La magistratura, comunque è a conoscenza dei due nominativi). Secondo le informazioni in possesso dell'avvocato lo spacciatore avrebbe fatto uccidere i due ragazzi perché Iaio lo avrebbe minacciato di far inserire il suo nome nel famoso libro bianco. Sempre secondo l'avvocato il personaggio in questione avrebbe poi affermato, pubblicamente nel corso dl una cena in una pizzeria: " ..finalmente sono stati ammazzati, così non parlano più".
Un altro fatto mai chiarito
Muore per un casuale incidente motociclistico un altro neofascista della zona, Pio Gregani. Su un suo libro viene trovato segnato l'indirizzo dl Fausto Tinelli.
Roma/Cremona
Il 23 marzo, il giorno dopo i funerali di Fausto e Iaio, giunge a Roma una nuova rivendicazione del duplice omicidio. In quei giorni ce ne sono state altre (una persino a Palermo) tutte con sigle fasciste. Appaiono piuttosto incredibili soprattutto per la rozzezza con cui sono realizzate e il tono poco "professionale". Nonostante siano passati vari giorni dall'omicidio quella del 23 ha degli elementi interessanti, vediamoli: verso le 21.30 giunge ad un privato cittadino di Roma una telefonata anonima. Questi avvisa la polizia che rinviene in una cabina telefonica di via Leone Quarto (zona Vaticano adiacente alla Balduina) un volantino in triplice copia in cui "l'Esercito Nazionale Rivoluzionario, brigata combattente Franco Anselmi" rivendica il duplice omicidio. E' la prima volta che compare questa sigla, ma e anche passato poco tempo da quando il neofascista romano Franco Anselmi e stato ucciso dal proprietario di un'armeria nel corso di un esproprio.
La figura di Anselmi indirizzava le ricerche verso una determinata area del neofascismo armato romano. Indagini e riflessioni che durano molto a lungo non avendo a disposizioni gli strumenti delle indagini ufficiali. Tutto indirizza verso l'area dei NAR, per meglio dire, di schegge parzialmente organizzate che possono circolare in quell'ambiente. Questa distinzione va fatta per vari motivi: 1) dopo l'attacco armato e la tentata strage a Radio Città Futura di Roma si e aperta una profonda riflessione all'interno di quell'area della destra terroristica che porta a non puntare più allo scontro diretto con la sinistra, in particolare quella rivoluzionaria. Se tutto ciò e vero, come e vero l'omicidio del Leoncavallo non sarebbe stato motivabile politicamente per una realtà quale quella dei NAR. 2) si sa che la componente milanese dei NAR aveva proprio nella zona Lambrate le proprie strutture logistiche e non sarebbe quindi il Casoretto la zona dove compiere, per di più estemporaneamente, un duplice omicidio così clamoroso. 3) Al di là dello schema destra contro sinistra, che comunque non sembra sufficiente, non traspare un movente prettamente ed esclusivamente politico con cui un gruppo come i NAR potrebbero giustificare il duplice omicidio. Nonostante tutto, però, il nome di Anselmi indicava proprio quell'area. Fin da principio giunsero comunque molte indicazioni se non altro su una certa rosa di nomi di elementi romani che avrebbero potuto corrispondere a certe caratteristiche, ma bisognerà attendere fino al luglio del 1979 per avere in mano una pista più precisa.
Verso il 20 di quel mese si verifica a Roma una bestiale aggressione a colpi di cocci di bottiglia contro due giovani, Maria Florio e Antonio Mandrone, accusati di essere compagni. In ospedale, fra varie foto Mandrone riconosce come uno dei due aggressori un certo neofascista romano piuttosto noto e con alle spalle già varie denunce per fatti politici. A casa del personaggio in questione (siamo a più di un anno dal 18 marzo 1978) vengono trovate delle fotografie di Fausto e Iaio e dei funerali dei due giovani. Oltre a queste diverse lettere fra il personaggio ed esponenti neofascisti di Cremona, in particolare un certo Mario Spotti. Dall'aggressione a Mandrone e Florio viene comunque scagionato perché molti altri neofascisti gli forniscono un alibi.
A questo punto e necessario addentrarsi in questa pista che collega Roma con Cremona passando, come vedremo, da Milano. E' però necessaria un'avvertenza: non verrà fatto il nome del personaggio romano in questione. Si tratta di un neofascista che oggi ha 30 anni, molto conosciuto per la sua attività di picchiatore e per la sua non eccelsa preparazione politica. Ha sempre circolato intorno a giri importanti (Fuan della Balduina la zona dove risiede, NAR) senza però mai esserne accettato del tutto. Una persona, quindi, anche in parte frustrata nelle sue "ambizioni" politiche e particolarmente desiderosa di mettersi in luce in un certo ambiente. Nel corso degli anni ha accumulato altre nefandezze che lo hanno portato anche in carcere. E' stato imputato di un omicidio bestiale e inseribile solo nella più bieca logica dell'anticomunismo viscerale, a Roma ai danni di un giovane di sinistra. Condannato in l° grado è stato assolto in appello. Ora e in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva in attesa della Cassazione. Non verrà fatto, in questa sede, il suo nome per correttezza nei confronti del lavoro della magistratura tuttora in corso ma soprattutto perché siamo fortemente convinti che chiunque debba essere considerato innocente fino a prova contraria. A differenza degli altri nomi fatti finora o che verranno in seguito, questo personaggio, che chiameremo ALFA, viene indicato con una responsabilità specifica precisa: quella di essere uno dei killers di Fausto e Iaio. Riteniamo giusto, quindi, che il nome non venga fatto in questa sede.
Alfa ha a Cremona dei parenti che va a trovare spesso, così come qualche volta frequenta Milano per contatti con ambienti neofascisti cittadini. All'epoca Alfa ha 19/20 anni, è alto circa 170cm, corporatura robusta. Nel marzo 1978, nei giorni a cavallo del sequestro Moro, giungono varie segnalazioni sulla presenza di una squadra di neofascisti romani in trasferta a Milano e Cremona. Fra questi c'è sicuramente Alfa.
Quello che gli inquirenti dedurranno solo dopo il luglio 1979 dalle lettere rinvenute a casa di Alfa è già noto da tempo: a Cremona, i neofascisti locali ed in particolare Mario Spotti, sono in stretti rapporti con alcuni circuiti della destra eversiva romana. Spotti si vanta della sua amicizia con Franco Anselmi e nel gennaio 1978 non fa mistero di essere in possesso di una pistola calibro 7.65 che ha acquistato a Roma proprio dall' Anselmi. Questa arma non verrà mai ritrovata perché Spottl se ne libererà nel luglio 1979, dopo l'arresto di Alfa. A Cremona, fra l'altro, svolgerà servizio militare a cavallo tra il 1977 e il 1978 un altro noto neofascista di Roma amico di Alfa: Guido Zappavigna.
Come dicevamo, Alfa sarà a Cremona nei giorni seguenti il sequestro Moro. Non verrà direttamente da Roma ma si fermerà prima a Milano. Spotti confermerà questa circostanza, confermando dapprima anche i giorni (dopo il 16 marzo) e dicendo poi di non esserne più sicuro e affermando che forse Alfa e gli altri erano a Cremona e quindi erano passati da Milano- prima del 16 marzo. Alfa sarà, comunque nuovamente a Cremona nel settembre 1978 e nel maggio 1979. Lì diede una mano ai neofascisti locali per la campagna elettorale. Nel luglio poi l'aggressione a Roma contro Mandrone e Florio in cui Alfa risulta coinvolto e la scoperta ufficiale dei rapporti tra i romani e i neofascisti di Cremona. In questi rapporti si inserisce anche il sospetto che Alfa, Spotti e altri potessero essere coinvolti nel furto di materiale esplosivo in Lombardia. Nulla di che: se non fosse che il 29 maggio,dopo che Alfa era stato a Cremona, la sezione del Pci della Balduina subisce un attentato esplosivo. L'azione è rivendicata dalla brigata combattente Franco Anselmi: dopo Fausto e Iaio, la seconda e ultima volta che comparirà questa sigla.
Nel corso degli ultimi anni anche negli ambienti della destra eversiva si è sviluppato il fenomeno del pentimento e della collaborazione, più o meno interessata, con i giudici. Almeno tre neofascisti romani pentiti indicano in Alfa uno dei responsabili dell'omicidio di Fausto e Iaio. Uno tra questi, in particolare, sembra che abbia testimoniato come Alfa gli avesse personalmente raccontato della propria partecipazione al massacro di via Mancinelli mentre si trovavano in carcere insieme -e prima, ovviamente, del "pentimento" del teste.
Comunicato delle Brigate Rosse -stralcio da un volantino su Moro
...I proletari hanno dimostrato anche a Milano di saper scegliere i propri amici dai propri nemici, i propri interessi da quelli dei padroni! La manifestazione dei 40.000 dello sciopero per, Moro, organizzata intorno alle forze reazionarie, come la DC, ha avuto giusta risposta dai 100.000 proletari in piazza per la morte dei compagni Fausto e Iaio, assassinati dai sicari del regime. D'altronde i proletari di Milano non si sono ancora dimenticati delle F. Comuniste "Volanti Rosse" e delle loro azioni, e di come il PCI già allora si fosse schierato contro le loro lotte, indicandoli come terroristi, fascisti che nulla avevano a che fare con la C.O...
Indagini Ufficiali
Le indagini sono state condotte nella loro fase iniziale dal Sost. Proc. Armando Spataro. Già nell'immediatezza l'ottica scelta dalla Questura fu quella del delitto maturato nell'ambiente dello spaccio di stupefacenti. A dire il vero le primissime dichiarazioni rilasciate dall'allora capo di Gabinetto Bessone furono vergognose: si parlò di regolamento di conti e, addirittura, di faida fra i gruppi della nuova sinistra. Già il giorno dopo, comunque, le ipotesi rientrarono in un ambito più realistico: l'impronta del duplice delitto sembrava chiaramente politica e, infatti, la pratica passò dalla Squadra Mobile alla DIGOS, anche se l'ambiente in cui era maturato il delitto era quello della droga. Il dato sostanziale e che le indagini furono condotte per poco tempo e in modo contraddittorio. Poco tempo perché, in quel periodo, gli interesse e le forze degli inquirenti erano complessivamente investite sul fronte della lotta armata; in modo contraddittorio perché, come sempre accade, non vi fu nessun coordinamento fra polizia e carabinieri. Di conseguenza sul tavolo del magistrato arrivava poco e quei pochi dati a volte risultavano in contraddizione fra loro. Dopo poche tempo Spataro passava il fascicolo al giudice istruttore. Nonostante il lavoro svolto dal pm fosse comunque di notevole valore, se non altro perché individuava i principali meccanismi che si erano mossi, dal '78 ad oggi, ben quattro sono stati i giudici istruttori sul cui tavolo e passato il fascicolo Tinelli-Iannucci. In questi anni ben poco sembra essersi aggiunto al lavoro di Spataro o, comunque, non sono mai state tirate le necessarie somme. Per amore di verità c'è da sottolineare con forza che, almeno per quanto riguarda gli ultimi due g.i. (Graziella Mascarello e l'attuale, Attilio Barazzetta) sembra che il principale ostacolo sia stato rappresentato dal fatto che i due magistrati non sono mai stati messi nelle condizioni idonee per lavorare seriamente sul caso. Pressati e soffocati da decine di altre istruttorie, con imputati vivi e magari detenuti, i giudici hanno dovuto lavorare sul duplice omicidio esclusivamente nei ritagli di tempo o per scelta volontaristica. Grave, gravissima e la responsabilità dei dirigenti dell'Ufficio Istruzione e del Tribunale di Milano. Si e voluto dimenticare quel 18 marzo 1978 e non certo per una generale rimozione degli anni '70 come i recenti processi che sono stati istruiti e persino già celebrati dimostrano. Si e voluto dimenticare il 18 marzo 1978 secondo la più cinica filosofia dei morti di serie A e dei morti di serie B. Sicuramente Fausto e Iaio, giovani proletari di periferia, rientravano per i responsabili della giustizia milanese in questa seconda categoria. Ogni altra spiegazione sarebbe ancora più inquietante. Ora al giudice istruttore arriverà anche questo materiale come, negli anni trascorsi, altro materiale di controinformazione e stato già fatto pervenire. Nient'altro che un motivo in più per richiedere, ancora una volta, che il giudice istruttore sia messo nelle reali condizioni per poter lavorare sull'omicidio di Fausto e Iaio. Sono passati 10 anni ed e un tempo sufficiente anche per una città come Milano che ancora aspetta chiarezza su piazza Fontana. Per i 100.000 dei loro funerali Fausto e Iaio erano figli della città nel senso più vero e profondo del termine. Sono stati massacrati perché erano quello che erano: due ragazzi di 18 anni che volevano una vita migliore in una società giusta, senza oppressi e sfruttati. Che almeno la loro memoria non subisca la beffa ignobile della polvere sul fascicolo processuale.
Ipotesi
Qual'é in conclusione, l'ipotesi che viene proposta? La sensazione netta e che la morte di Fausto e Iaio sia stata decisa da coloro che, all'epoca, nella zona Lambrate-Casoretto-Padova dirigevano lo spaccio della droga ed erano collegati a settori della destra terroristica.
A fronte di un clima di scontro aperto fra la nuova sinistra e l'ambiente della droga scatta una spirale locale fatta del tanti episodi che abbiamo riassunto in queste pagine. Un'escalation il cui punto di rottura potrebbe essere rappresentato dal pestaggio al parco Lambro del 10 marzo 1978. Perché proprio Fausto e Iaio? Perché erano dei compagni conosciuti e riconosciuti perché erano del Leoncavallo perché anche loro si occupavano del libro bianco sullo spaccio a Milano e, comunque, erano particolarmente impegnati sul fenomeno eroina, perché erano conosciuti personalmente anche da vari personaggi di quegli ambienti che sintetizzavano il commercio dell'eroina con una specifica cultura neofascista. Una conoscenza che poteva determinare la certezza dell'obiettivo e la non pericolosità fisica dei due ragazzi. In poche parole: un obiettivo sicuro e facile.
La decisione di intervenire sulla campagna contro l'eroina e lo spaccio viene appaltata, coerentemente, ad un gruppo ristretto di giovani malavitosi di destra della zona a cui si aggregano i soggetti politici, quelli che con tutta probabilità saranno i killers veri e propri: i due giovani che in via a Mancinelli indosseranno l'impermeabile chiaro.
All'epoca, fra il 1975 e il 1980, siamo nella fase in cui lo spaccio della droga, soprattutto eroina e cocaina, va stabilizzandosi e assumendo le attuali caratteristiche di capillarità e vastità. Prima, e ancora intorno al '78, ci si trova spesso di fronte ad un mercato molto embrionale, a caratteristica "familiare", al massimo subappaltato, in qualche caso, a qualche personaggio che sta a cavallo fra la politica (neofascista) e la mala. La malavita, quella più spregiudicata che non avrà problemi nel corso degli anni ad inserirsi a fondo nella vendita della morte in bustina. All'epoca, in quel clima, con quella strutturazione di mercato, ancora embrionale anche un libro bianco sugli spacciatori poteva rappresentare un serio pericolo. Chi leggesse adesso quel dossier non rimanga meravigliato per ciò che abbiamo appena affermato: il libro bianco e uscito dopo l'assassinio di Fausto e Iaio. A questo ambiente sono collegati personaggi e realtà di destra terroristica ancora, all'epoca, legate ad una pratica di scontro frontale con la sinistra. Non ci può essere alcun dubbio: l'omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci è omicidio politico. Concretamente e complessivamente politico. I due giovani uccisi facevano parte di un vasto, variegato, forte arco di forze che avevano intravisto nell'attività contro la droga una delle tante e importanti battaglie contro il degrado della società, lo sfruttamento, la ghettizzazione dei giovani nei quartieri della periferia milanese. Una lotta politica che ha avuto come risposta un duplice omicidio politico.